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Il cuore grande di una madre

Spesso, quando presentiamo la figura della nostra Fondatrice, ci sentiamo obiettare che  Teresa Spinelli ha trascurato sua figlia Maria Domenica perché l’ha lasciata per lunghi anni ai nonni, per occuparsi della piccola Teresa Stampa, della quale è stata dapprima balia, dalla fine del 1806 ai primi del 1808, e poi istitutrice dal 1809 all’inizio del 1816; poi ha collocato la figlia in un collegio, lasciandovela anche quando si è messa in viaggio per seguire una chiamata che la portava addirittura a Frosinone, verso centinaia di fanciulle, bisognose di un’istruzione. Tutte cose belle e giuste, ma perché metterle prima della propria figlia? È una domanda legittima ma ingenua perché non tiene conto né dell’ambiente storico in cui sono collocati i fatti né tantomeno della vicenda personale di Teresa Spinelli.

            Proviamo ad andare pian piano indietro nel tempo, nel tentativo di sintonizzarci con gli avvenimenti di cui ci stiamo occupando. Non parliamo di oggi, epoca in cui i bambini trascorrono la maggior parte della giornata tra nonni e baby-sitter perché entrambi i genitori lavorano. La nostre scuole raccolgono numerosi esempi di piccini che restano “parcheggiati” anche dieci ore dalle suore perché le mamme lavorano. Andiamo invece indietro di pochi decenni e molti di noi ricorderanno gli educandati e i collegi nei quali trovavano posto ragazzi e ragazze che abitavano troppo lontano per poter compiere ogni giorno il tragitto casa-scuola. Nessuno si sarebbe sognato in quel tempo di dire che erano genitori snaturati quelli che collocavano i figli nei collegi, anzi, erano degni di stima perché solleciti nel procurare ai propri figli un’istruzione adeguata, a costo anche di grandi sacrifici, non solo economici. Anche nel caso in cui il collegio venisse considerato quasi un riformatorio (alla “Gian Burrasca” per intenderci), ciò che spingeva a questa scelta era il sincero desiderio di rendere i propri figli idonei ad affrontare gli impegni della vita. C’erano poi, e ci sono tuttora, quei collegi od orfanotrofi, che oggi si chiamano casa-famiglia, dove trovano posto ragazzi e ragazze che provengono da famiglie che, per motivi diversi, attraversano delle difficoltà. In questo caso la separazione dei figli dai genitori è spesso d’obbligo, ma non per questo è meno dolorosa. Nel XXI secolo si ripetono le inquietanti problematiche degli inizi del XIX, quando una donna, Teresa Spinelli, abbandonata dal marito, viene a trovarsi improvvisamente sola con gli anziani genitori e una figlia piccola. Non ha altra alternativa che lavorare per mantenere la famiglia. Certo otto anni sono lunghi da far passare, quando si sente la lontananza dei propri cari, ma il pensiero di essere l’unico mezzo di sostentamento per tre persone indifese dà la forza di andare avanti.

            All’inizio del 1816, Teresa Spinelli rientra in famiglia; Maria Domenica ha già 9 anni compiuti, i genitori hanno passato la settantina. Ancora una volta è lei che deve lavorare per tutti. Quasi subito la madre rimane paralizzata, la situazione si fa più difficile. La prima preoccupazione per una figlia è quella di accudire i genitori, ma la prima preoccupazione per una mamma è il bene dei figli. Ed ecco che, quando la situazione si fa insostenibile, quando la salute non permette più a Teresa di provvedere alle persone che le sono affidate, il bene della figlia diventa un valore ancora più importante della sua vicinanza, la necessità di un’istruzione adeguata per garantire la necessaria preparazione a chi deve ancora percorrere la strada della vita esige il coraggioso ma doloroso, distacco. Teresa Spinelli si rivolge ad un buon collegio, neanche a farlo apposta di monache agostiniane, il Conservatorio di S. Caterina della Rosa, detta de’ Funari. A queste monache bussano i genitori rimasti vedovi, le mogli abbandonate dai mariti, le famiglie che non ce la fanno a garantire l’istruzione a tutti i figli. Eppure non è un conservatorio di second’ordine, anzi, un contemporaneo parla di questo monastero nei seguenti termini:  “L’istituto si compone di monache  agostiniane, di orfane ed ancora di civili donzelle che pagano una pensione e sono affidate in educazione alle monache. Le figlie del luogo e le educande godono il medesimo trattamento ch’è un poco più abbondante che negli altri conservatorj” (C. L. Morichini, Degl’istituti di pubblica carità e d’istruzione primaria, Roma, 1835, p. 146). Fin dalla sua fondazione questa istituzione si era occupata del recupero di ragazze che erano definite “pericolanti”; nell’Ottocento si era orientata più verso l’educazione di ragazze che provenivano da famiglie particolarmente disagiate.

Un prezioso documento

Alcuni anni fa, compiendo delle ricerche nell’Archivio di Stato di Roma, mi è capitato tra le mani un documento importante a questo proposito: è la richiesta avanzata da Teresa Spinelli al Card. Litta, protettore del monastero di S. Caterina, perché accolga sua figlia come educanda:

 

Eminenza Reverendissima

Teresa Ravieli Spinelli Oratrice Umilissima dell’Eminenza Vostra Reverendissima con tutto l’ossequio espone che abbandonata da molti anni dal proprio marito che vive in estere parti ha una figlia di anni 12 per nome Maria Ravieli.

L’Oratrice abbandonata così senza beni di fortuna non ha trascurato mezzo alcuno d’industria per mantenere e se stessa e la Figlia, la quale per le circostanze della Madre non ha potuto avere quell’educazione che esigerebbe l’indole di Lei vivace e Spiritosa. Al presente l’Oratrice rovinata affatto di sanità, ed impossibilitata a procacciare il minimo sussidio a se ed alla Figlia è mantenuta per pura carità dal suo Fratello Vincenzo Spinelli, il quale con un tenue negozio di Pelli sostiene il peso di otto persone. In quest’infelice stato la sola cosa che preme al cuor materno dell’oratrice si è l’educazione e buona riuscita della Figlia, quale teme di lasciare esposta ai più fatali pericoli a cagione della vivacità e prontezza di Spirito, che già fin d’ora dimostra; ed è perciò che ricorre supplichevole al Cuore generoso e clemente dell’Eminenza Vostra Reverendissima, acciò voglia degnarsi di assicurare la pericolante innocenza di tal Figlia, con ammetterla nel Venerabile Monastero di S. Caterina.

La Giovinetta sta ora nel Monastero delle Camaldolesi in S. Antonio, dove la Carità di alcune Persone pie le hanno procurato per due mesi il comodo di preparasi alla prima Comunione, che fece il dì 21 corrente Novembre. Che della Grazia...

            Si tratta di un documento eccezionale che, unitamente alla risposta dei responsabili del monastero, che qui ometto, ci fornisce oltretutto notizie che erano finora molto vaghe, come il fatto che Luigi Ravieli, marito di Teresa, si trovasse fuori dallo Stato Pontificio; oppure la data in cui Maria Domenica ha fatto il suo ingresso nell’educandato: 6 aprile 1819, tre anni dopo il rientro di Teresa dal suo lavoro presso la famiglia Stampa. Anche questo particolare è importante perché fino ad oggi si pensava addirittura che Teresa al suo ritorno avesse trovato la figlia già in monastero. Soprattutto però viene evidenziata la sollecitudine materna della nostra Serva di Dio. La sua non è una scelta di comodo ma di pura necessità. D’altra parte in quel tempo per educare le fanciulle, per chi non poteva permettersi dei precettori privati, l’unica soluzione era quella dei monasteri. Teresa stessa era stata in S. Tommaso in Parione e a Frosinone centinaia di fanciulle passeranno dalle sue mani nel monastero di S. Agostino.

            C’è un ultimo particolare, non meno importante, sul quale vale la pena di riflettere: quando entra nel monastero di S. Caterina de’ Funari, Maria Domenica sa già leggere e scrivere. Allegato alla domanda di ammissione fatta dalla madre, si trova infatti un foglio sottoscritto da Maria Domenica (ad uso interno del collegio), nel quale sono elencati gli impegni che ella si assume con il suo ingresso nell’educandato. È vero che in quell’epoca Maria Domenica ha già dodici anni ma viene da chiedersi: dove e quando ha imparato a leggere e scrivere? I casi sono due: o Teresa, con lo stipendio mandato da Ferentino, ha consentito a sua figlia di frequentare una scuola oppure è stata lei stessa, durante quei tre anni trascorsi insieme, ad insegnare a sua figlia i primi rudimenti del sapere. Non abbiamo documenti che facciano propendere per una delle due ipotesi ma entrambe fanno onore a Teresa. A noi piace pensare che una donna che anche i conti Stampa hanno ritenuto all’altezza del compito di istitutrice non può non aver influito anche culturalmente su una ragazza caratterizzata da vivacità e prontezza di spirito.  La grande capacità nel campo educativo, che costituiranno il fiore all’occhiello della scuola di Frosinone ha le sue radici nel cuore premuroso di una mamma.

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