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Teresa Spinelli e la famiglia

In questo anno, nel quale Papa Francesco ha scritto l’esortazione post-sinodale “Amoris laetitia” sulla famiglia, può essere interessante riflettere sull’importanza che Sr. Maria Teresa Spinelli ha dato alla famiglia.

Il Papa esordisce con la frase: “ La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa” (AL 1). Più avanti dice: “Il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (AL 31). È, pertanto, importante ricordarsi che la famiglia è la “molecola” di cui è costituita non solo la società civile, ma anche la Chiesa. Lasciamoci guidare da Sr. Teresa Spinelli nel cammino di rivalutazione della famiglia, non di quella idilliaca e utopistica (la cosiddetta “famiglia del Mulino Bianco”), ma quella concreta nella quale viviamo, con i suoi pregi e difetti.

Teresa Spinelli aveva quasi 32 anni quando lasciò Roma per stabilirsi a Frosinone. Trascorse quindi la prima metà della sua vita a Roma e a Ferentino (FR). Non visse, tuttavia, sempre con la sua famiglia d’origine, ma si sforzò in ogni caso di creare attorno a sé un clima di familiarità e concordia. Anche nelle situazioni più avverse, infatti, come durante la convivenza con il marito e nell’anno trascorso in casa del fratello Vincenzo, Teresa Spinelli si adoperò perché all’interno della casa non sorgessero attriti o fossero appianati al più presto. Questo è quello che aveva imparato nella sua famiglia d’origine dove, benché ci manchino le informazioni riguardo al ménage familiare, sappiamo per certo che le difficoltà economiche della famiglia furono affrontate con coraggio da entrambi i coniugi, cercando il più possibile di mantenere unita la famiglia anche nella cattiva sorte. Solo quando la povertà divenne vera e propria indigenza i genitori cercarono una moglie al figlio Vincenzo e un marito alla giovane Teresa, nella speranza di garantire loro migliori condizioni di vita.

Riguardo all’esperienza matrimoniale di Teresa, dalla narrazione della prima biografa, si potrebbe pensare che ella e il marito vivessero soli, mentre dal registro degli stati d’anime della Parrocchia di S. Maria in Grotta Pinta risulta che in Via dei Giubbonari, 64 vivevano, numerati come famiglia 21: “Saveria Spada quondam Bruno da Catanzaro, vedova quondam Giovanni Ravieli, Luigi, figlio, sensale di Ripa, Romano e Teresa Spinelli di Michele, Romana, Moglie”. Il silenzio che avvolge la figura della suocera, quando Teresa riporta nel diario spirituale le vicende del proprio matrimonio, è un segno abbastanza eloquente della prudenza di Teresa nel non coinvolgerla nei propri problemi coniugali, o, quanto meno, nel non vendicarsi per iscritto dell’eventuale sostegno della Spada a suo figlio. Quando, poi, il Vicariato decretò la separazione dei coniugi, in un primo momento Teresa rifiutò questa soluzione dichiarandosi disposta a tornare con il marito. Per lei, infatti, era più importante mantenere l’unità della famiglia piuttosto che salvaguardare la sua stessa vita.

Un dato particolarmente interessante per avvalorare la capacità della Serva di Dio di creare un clima di famiglia è il fatto che, durante la sua prima permanenza in casa Stampa, nonostante Teresa non fosse che uno dei membri della servitù, il suo nome risulta tra i membri della famiglia Stampa, insieme ad altre due donne di servizio, mentre gli altri servi costituiscono due famiglie a parte. Sarebbe lecito pensare che gli Stampa considerassero la servitù femminile parte della famiglia, a differenza di quella maschile. È, però, da notare che le due donne di servizio, l’anno precedente all’arrivo della Spinelli, pur lavorando già presso gli Stampa, formavano una famiglia a parte. Con l’ingresso di Teresa, invece, la famiglia Stampa si “allarga”.

Anche in casa di suo fratello Vincenzo Teresa si comportò sempre con paziente saggezza, in modo da non compromettere i rapporti tra Vincenzo e la sua prima moglie Annamaria. Quando, poi, raggiunse Frosinone e avviò la prima scuola pubblica femminile instaurò immediatamente uno stile di vita comune insieme alle altre insegnanti, perché formassero una famiglia e non un “team docenti” ante litteram. La finalità della scuola, poi, era quella di formare future madri di famiglia consapevoli del proprio ruolo, in casa come nella società civile. C’era, quindi, in Teresa Spinelli la chiara consapevolezza che il benessere della società deriva dal ben-essere delle famiglie. Fin dal primo regolamento della scuola del 1821 Teresa aveva previsto nell’orario delle lezioni di ogni giorno “un’altra mezz’ora si dovrà occupare in cose istruttive per bon vivere in società o altro che si troverà conveniente” (Orario, n° 14). Ancora più esplicitamente nelle Prime Costituzioni troviamo scritto che la scuola era stata aperta “Per fare con questo mezzo rifiorire la Città in ogni sorta di virtù, di bontà di vita, e di buone arti” (Cost. 1827, p. 273) e, più avanti, riguardo ai doveri delle maestre prescrive: “Avranno il pensiero che le scolare già capaci insegnino le prime cose della Dottrina Cristiana a loro fratelli e sorelle e ad altri di casa e l’interrogheranno spesso in scuola se l’hanno fatto e se lo van facendo. Prenderanno ancora un sommo impegno acciò le Madri di famiglia, che sono già state nelle scuole facciano lo stesso a loro figliuoli e domestici, e che si allevino nella pietà, con far loro intendere che esse possono più contribuire alla buona educazione de lor figlioli che i Padri, li quali non gli hanno così di continuo appresso di loro” (Cost. 1827, p. 275).

A maggior ragione Sr. Teresa promosse un autentico spirito di famiglia all’interno della sua comunità religiosa, dedicando un intero capitolo delle Prime Costituzioni alla carità, unione e rispetto reciproco delle suore, anche perché “l’intenzione di fondare quest’Istituto è stata di accettare per Religiose solamente quelle che, toccate da Dio, sono totalmente risolute di servire al Signore in vita comune, senza proprietà e con l’aiuto delle propria anima aiutare anche molte altre” (Cost. 1827, p. 176).

L’appartenenza ad una famiglia spirituale non distolse Sr. Teresa dal preoccuparsi anche del buon andamento della propria famiglia d’origine, in particolare di suo fratello Vincenzo e della sua numerosa famiglia. Vincenzo, infatti, rimasto vedovo, aveva sposato nel 1826 Costanza Bersani, dalla quale ebbe dodici figli. In occasione di una nascita Sr. Teresa, che aveva presso di sé le figlie di Vincenzo come educande, scrisse al fratello: “Per carità dunque, se [Costanza] ama la famiglia e voi, sia rassegnata, e gli affari di casa li metterà in paro quando sarà bene ristabilita. Tanto dico per volergli bene davvero; la saluto, il che fa D. Angelo e tutti gli amici, e la nostra famiglia; le figlie fanno lo stesso, tutti desiderano sapere come si chiama [il neonato]” (Lettera XIII). Dato che Sr. Teresa nomina tra le persone che mandano i saluti a Costanza sia “la nostra famiglia”, sia “le figlie” si può pensare che nel primo caso si riferisca alla comunità religiosa.

In un’altra occasione, parlando del suo impegno per l’educazione delle figlie di Vincenzo e Costanza, scrisse: “Ho desiderato sempre restituirvi il tutto con questa famiglia, che, di tutto core, desidero vi renda contenti, ma se ancora non corrispondano ai nostri comuni desideri, e a quanto si va facendo, non sarà arrivata l'ora, perciò pazienza reciproca” (Lett. XIV).

Papa Francesco, nella sua ultima esortazione apostolica, ha voluto ricordare a tutti che la Chiesa è una grande famiglia ed è strettamente legata alla vita delle famiglie che la compongono: “La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, «in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Signore coinvolge non solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana” (AL 87).

Nella nostra Congregazione i modelli della vita comunitaria sono la SS.ma Trinità e la Santa Famiglia di Nazaret, alla quale è rivolta la preghiera comunitaria domenicale, che si conclude con queste parole: “O Gesù, Maria e Giuseppe siate sempre con noi e la nostra comunità diventerà come la casa di Nazaret, luogo ove si vive nella totale donazione a Dio e al suo Regno”. Concludo, pertanto, con le parole che la nostra Fondatrice scrisse alla famiglia di suo fratello, ma sono un prezioso consiglio per tutti: “Siate sempre più ferventi in pregare le nostre tre care persone, cioè Gesù, Maria e Giuseppe” (Lett. XIV).

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