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Le penitenze di Sr. Maria Teresa Spinelli: carisma personale

Leggendo le lettere che Sr. Maria Teresa Spinelli invia al suo direttore spirituale, siamo spesso prese dallo stupore, venendo a conoscenza delle pesanti penitenze da lei sostenute e di cui invia relazione al direttore stesso. Un’altra fonte che attesta la quotidiana pratica di numerose penitenze da parte di M. Teresa Spinelli è la sua prima biografa, Sr. Serafina Frattali, per molti anni sua segretaria.

Di fronte a simili testimonianze ci possiamo sentire prese da grande sconforto, non essendo noi in grado di imitarla in questo atteggiamento eroico.

Per noi tutte Teresa Spinelli è una madre, una guida, una testimone della fede, colei che ci indica come porci alla sequela di Cristo con spirito di comunione e servizio. Quindi ci rincresce  un po’ non poterla imitare più da vicino, anche esteriormente.

In realtà la questione è impostata male in partenza. I santi (e fra questi siamo certe di poter includere anche la nostra Fondatrice) sono coloro che hanno tenuto gli occhi dello spirito fissi su Dio e le orecchie del cuore tese all’ascolto della sua volontà, per poterla realizzare prontamente. Per loro esiste un solo modello: Gesù Cristo. Lui si deve imitare e servire.

Eppure anch’essi hanno guardato a coloro che li avevano preceduti nel cammino della santità, per attingere incoraggiamento dal loro esempio. Ecco a cosa servono i santi, ad incoraggiarci. Se sentissimo lontani e irraggiungibili questi nostri fratelli come potremmo metterci alla sequela di Cristo che è Dio? A questo proposito S. Agostino dice: “Chi mai si vergognerà di affermare: non posso misurarmi con Dio? Ed è certamente così. Non posso confrontarmi col Cristo? Neanche col Cristo mortale puoi confrontarti. Però Pietro era come te, Paolo era come te, anche i profeti e gli apostoli erano come te. Se ti è faticoso imitare il Signore, imita il tuo compagno di servizio” (Disc. 325,2).

 

Teresa Spinelli, mirabile esempio della spiritualità dei suoi tempi

In ogni tempo e in ogni luogo lo Spirito Santo ha suscitato nuovi operai per la messe del Regno dei Cieli che vivessero la loro santità profondamente radicati nella cultura e nella spiritualità dei loro tempi.

La prima metà del XIX secolo, periodo in cui si inserisce l’opera spirituale e apostolica di Madre Spinelli, la Chiesa e la società vivevano momenti di grandi sconvolgimenti politici che avevano minato anche le salde basi della fede del popolo di Dio. L’ansia di rinnovamento che caratterizza la “Primavera dei popoli” spinge a rifiutare le vecchie classi dirigenti che vedevano l’alto clero spesso accomunato con  i nobili. Le idee illuministe, che già preannunciano il Positivismo, spingevano ad accettare come vero solo ciò che può essere spiegato dalla ragione e a scartare tutto quello che era oggetto di pura fede.

In un periodo di forti fermenti rivoluzionari, volti al raggiungimento dell’unità nazionale da parte di tutti gli stati europei, la Chiesa era una delle potenze in gioco e il Papa era un vero capo di stato, coinvolto in guerre, costretto, in alcune circostanze, anche a fuggire.

Maria Teresa Spinelli non assisterà alla scomparsa dello Stato della Chiesa, tuttavia è ancora viva durante il periodo della Repubblica Romana.

Possiamo quindi immaginare quale fosse lo sgomento del popolo di Dio, minacciato nelle più profonde convinzioni interiori e circondato dai continui moti rivoluzionari. Nello Stato della Chiesa e a Roma in particolare, la situazione era vissuta con maggiore apprensione, nel continuo timore per l’incolumità del Papa, guida spirituale e capo politico. Gli esercizi di pietà, le penitenze, iniziative personali e collettive, si moltiplicavano in tutte le chiese della città per riparare alle numerose offese arrecate alla Chiesa e per ottenere la protezione di Dio nel corso degli eventi bellici.

In questo clima è nata e cresciuta Teresa Spinelli e quest’esperienza ha sicuramente contribuito a sviluppare in lei il desiderio e l’attuazione di penitenze continue in favore della Chiesa.

 

La vocazione personale di Teresa: condividere la croce di Cristo

Sarebbe però banale spiegare in modo così semplicistico un comportamento che è invece principalmente un’esternazione del suo carisma personale.

Teresa era chiamata a “prolungare nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo” (Col. 1,24), espiando nel proprio corpo i peccati che “arrugginiscono” la Chiesa. Questa era la sua vocazione specifica, ricevuta ancor prima di quella religiosa e di fondatrice.

Il desiderio di offrirsi come vittima si manifesta in Teresa durante gli ultimi anni della sua permanenza a Roma e si potrebbe vederne il primo sintomo nel suo atteggiamento nei confronti del marito: sopportare ogni sofferenza a vantaggio di lui.

Ricevere questa vocazione che avvicina così tanto l’uomo alle sofferenze redentrici della Passione di Cristo, non è cosa da tutti. Basti pensare a quanti anni Teresa dovette aspettare per ottenere il consenso a pronunciare i voti di vittima, del più perfetto e di abbandono in Dio.

P. Ignazio Barbagallo, nella sua opera Il dono totale di sé  afferma esplicitamente: “La nostra serva di Dio aveva ricevuto il carisma dell’espiazione” (p. 123).

La Serva di Dio era pienamente consapevole di essere chiamata a collaborare con Cristo anche attraverso la sofferenza. Ce ne dà lei stessa testimonianza nelle sue lettere in cui racconta i suoi dialoghi con Cristo che la invita a soffrire in vantaggio della Chiesa e spiega anche alcuni fenomeni legati a queste pratiche penitenziali, quali la subitanea guarigione che in alcuni casi seguiva le penitenze stesse.

Ciò che però ci fa capire che questa era la sua vocazione specifica, così come ognuno di noi ne ha una, è il fatto che Maria Teresa sa distinguere questo dono divino dalla sua vocazione di fondatrice e dal carisma del suo Istituto.

Non ha infatti fondato un “Conservatorio” (come direbbe lei) che si ispirasse alla Passione di Cristo in modo eminente perché una simile scelta sarebbe trapelata anche dal nome scelto per l’Istituto, attraverso l’uso di termini come “Passione”,  “Crocifisso”,  “Gesù Agonizzante”, “Monte Calvario” o qualcosa di simile.

Senza contare che aveva a portata di mano la possibilità di fondare il ramo femminile dei Missionari del Preziosissimo Sangue e anche questa denominazione riecheggia la Passione di Cristo.

Teresa invece ha scelto il carisma del servizio così come è stato compiuto da Gesù, servo del Padre a partire dal sì che l’ha portato ad incarnarsi, fino al sì della croce, e da Maria che si definisce “serva del Signore” e che continua a ripetere il suo fiat  anche sotto la croce. Un servizio quindi che può condurre anche alla sofferenza e alla morte ma che non fa della sofferenza lo scopo del suo esistere.

Ciò che maggiormente mette in evidenza che quella della sofferenza vissuta anche attraverso le penitenze era la vocazione “privata” di Teresa Spinelli è il fatto che queste pratiche non coinvolgevano il resto della comunità, non si svolgevano durante gli orari in cui doveva insegnare o prender parte agli atti comuni e non erano prescritte alle altre consorelle.

 

Le penitenze concesse da Teresa Spinelli alle sue prime consorelle

Nelle Costituzioni del 1827, benché vincolata alle preesistenti Costituzioni del Card. Corradini, Sr. Maria Teresa avrebbe potuto prescrivere o consigliare qualcuna delle penitenze attuate da lei ed invece non ne troviamo traccia. Molto interessanti invece sono alcuni numeri delle prime Costituzioni che risalgono quasi interamente alle parole della Serva di Dio(scritte in corsivo): “Esse non hanno per obbligo, né dovranno fare penitenza alcuna in particolare, se non che il caso straordinario la richiedesse, e questa si dovrà fare con l’espressa licenza della  Superiora ” ( Cost. 1827, p. I, XIII, I); “Tra la settimana, e nelle Vigilie faranno in Refettorio con la licenza qualcuna delle mortificazioni solite farsi dalla Comunità ” (p. I, XIII, VII ); “ In tutti li venerdì dell’anno si asterranno dai soli frutti in memoria dei Dolori della Vergine.  Niuna farà altri digiuni particolari sotto qualsivoglia pretesto fuorché in qualche caso straordinario, in cui per forti ragioni la Superiora credesse di dare qualche licenza “ (p. I, XIV, IV-V).

È consigliata anche qualche penitenza corporale come la disciplina in comune, una volta alla settimana, per lo spazio di un Miserere, per temprare lo spirito, si tratta però di pratiche tipiche di questo periodo, e non stupivano quindi nessuno. Dimostrano anzi ancora una volta che Teresa non chiedeva alle sue figlie più di quanto fosse prescritto dalla Chiesa né tantomeno le invitava a imitare i suoi patimenti.

 

La maternità spirituale di M. Teresa

Le prime Costituzioni sono un bellissimo esempio dell’equilibrio e della maternità di Sr. Maria Teresa Spinelli.

Ella sa innanzitutto che è la madre colei su cui grava la maggior parte del peso spirituale e materiale. Non chiede a nessuna di essere come lei. La sua esperienza di figlia, di mamma e di precettrice le hanno fatto capire che i figli imparano a sacrificarsi per gli altri nella misura in cui vedono i genitori sacrificarsi per loro.

Si può pensare che Maria Teresa, consapevole della finalità redentrice delle sue penitenze, le offrisse di cuore al Signore per il bene di tanti fratelli, seguendo in questo l’invito stesso di Cristo: “Figlia, patisci volentieri”. Non masochismo, ma piuttosto quell’esperienza di cui parla anche S. Agostino quando dice: “Quando si ama non si sente la fatica e se si sente, si ama anche quella fatica”.

La vita religiosa è scandita da orari ed impegni ben precisi, eppure Teresa esorta le sue figlie spirituali a riposare quando ne hanno il tempo e secondo il bisogno e a trascorrere tempi ricreativi comunitari quotidiani e qualche gita in campagna durante la bella stagione: “(Durante la ricreazione) si guarderanno da ogni azione leggiera; si raccomanda però loro l’allegrezza. Discorreranno di cose spirituali e di materie santamente allegre...” (p. I, XIX, V-VI); “Per meglio conservare la lor sanità, daranno al corpo il conveniente riposo, che nell’Inverno sarà di ore otto, e nell’estate di sette, ed avendone bisogno di più chiedano licenza alla Superiora”, “Due volte nella Primavera, ed altrettante nell’Autunno anderanno in qualche luogo di Campagna coll’accompagnamento di tutti li Deputati, ed ivi si tratterranno dalla mattina alla sera in un santo sollievo...”, “Si prenderanno senza scrupolo tutte quelle comodità, e riposi, che l’Ubbidienza le permetterà con questo pensiero: Che il Signore le fa dormire, il Signore le fa ridere, il Signore le fa ricreare, perché lo servano” (p. I, XXVII, III. VII. IX).

Dal momento che la spiritualità di ogni superiora è determinante per la vita spirituale della comunità, certamente ci saranno state consorelle che si sono sentite spronate, dall’esempio di Maria Teresa, a compiere delle penitenze; purtroppo però non ci sono giunti documenti a questo proposito.

Madre Teresa ha saputo cogliere e ha voluto trasmettere la gioia di appartenere al Signore, nella semplicità e nella serenità. La vita religiosa implica impegno e donazione totale di sé ma esige che si bandisca ogni tristezza (la Fondatrice non accettava l’ingresso in convento di ragazze “straordinariamente malinconiche e scrupolose”): “Il Signore ama chi dona con gioia” (2 Cor. 9,7).

In conclusione, per poter sentire la vicinanza di Maria Teresa a noi, non dobbiamo guardare tanto alla sua specifica vocazione personale che l’ha associata alla Passione di Gesù ma al suo carisma fondazionale, al dono che ella ha ricevuto dallo Spirito Santo e che ha condiviso con le sue consorelle e figlie spirituali.

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